mercoledì 2 luglio 2008

Sull’IKEA

Si mormora che l’ikea sia out.

Possiamo dire tranquillamente che io appartengo agli ikeisti come dire, di ‘seconda generazione’. Quelli che hanno cominciato tanto tempo fa, hanno avuto la loro bella fase di rigetto, ed ora si approcciano alla questione con occhio diverso. Per fortuna poi sono sempre stata immune dalla passione incontrollata e compulsiva per le cazzate, tutte quelle piccole e colorate cose che lì per lì fai urletti di giubilo, e ti compri perché sei troppo povero per permetterti un mettiamo, mobile, e poi visto che è la somma che fa il totale, alla cassa poi vedi…

Ho sentito in questi anni tutti i tipi di riflessione possibile sull’ikea. L’apice è forse stata la discussione fra l’amico precario-sensibile e l’amica eco-sensibile, ove il primo argomentava che all’ikea lui non compra perché i lavoratori fanno turni da schiavi stile mcdonalds, e lei ribatteva che hanno un approccio profondamente ecologico sulla scelta del legname e sulla logica degli imballaggi, per cui lei preferiva l’ambiente ai lavoratori. Che dire. Surreale.

PUNTO PRIMO: L’IKEA COSTA POCO
E io questa è una cosa che apprezzo molto. Ma non solo come potrà malignare qualcuno che – dice – mi conosce a fondo, perché sono una notoria tirchia. Non solo perché oggettivamente noi di soldi ne abbiamo pochi, forse anche meno di quelli che servono per comprare una cucina ikea.

Apprezzo proprio l’idea che costi poco, mi sembra che questa cosa aiuti, come dire, a non caricare di significati enormi una cosa in fondo semplice come comprarsi una casa, metterla a posto, trovare dei mobili. E’ geniale secondo la loro nuova campagna pubblicitaria, dove si vantano proprio che costi poco, in questo mondo dove essere povero pare sia una colpa.

Detesto i significati enormi, l’enfatizzazione delle cose, il troppo parlare o il troppo ricamare. Poi in casi come questi porta sfiga secondo me. Detesto il vuoto parlare di vuoti personaggi che ho bene in mente per conoscenza diretta, di solito donne ahimè, che esordiscono con “ah beh, per una cucina meno di 15.000 € non si può proprio spendere”. QUINDICIMILA EURO??? Non posso? Io non posso? E chi lo dice, scusa, che io non posso?

Ecco, mi si risveglia il lato punk. Mi viene voglia di accamparmi in cucina con un fornello da campeggio, senza sedie, accucciata a terra a girare in un tegamino traballante con il manico di un coltello una improbabile zuppa. Divento selvaggia.

Del resto in genere sono le stesse persone che poi proseguono con “e poi insomma, dura vent’anni”. Ecco, a me il pensiero che ci sia qualcosa che duri vent’anni nella mia casa mi mette i brividi. L’unica cosa a casa mia che vorrei durasse almeno vent’anni è l’amore per il mio etc etc. Il resto lo preferisco labile, intercambiabile, vorrei avere almeno l’illusione che se mi gira/ci gira il belino di cambiare aria questo sia possibile, senza dovere stare là a pensare alla cucina, a quanto l’abbiamo pagata, a dove la mettiamo visto che abbiamo deciso di andare a vivere in una roulotte. E’ infantile, lo so, ma è un piccolo pezzetto del mio essere che mi tengo ben stretta, mi permette di sopravvivere e di non morire di tristezza fra tutti i devo della nostra vita.

PUNTO SECONDO: SANNO COSA E’ IL DESIGN
Loro hanno assunto i designer per fargli progettare le cose. Designer. Loro. Mondo convenienza, o MercatoneUno, non mi pare.
Certo Scavolini sì – adoro la cucina di Pininfarina – ma non mi piace quello che ci sta sotto. Nel catalogo Ikea, ti fanno vedere le loro facce, e i loro prodotti. Ti parlano di “forma e funzione”. Non so se ci rendiamo conto, è un depliant che ti arriva nella buchetta come quello del peggiore discount, quelli con lo sfondo azzurro e tutte le foto delle cose in offerta… che io alla seconda pagina sono già morta di tristezza.
Forma e funzione.
Loro non sono come noi, che dopo essere stati negli anni ’50 – ‘60 e forse inizio ’70 i re del design a prezzo accessibile, per tutti, ora facciamo solo cascettoni squadrati modello “tabbuto” a prezzi indecentemente improponibili che presentiamo in Fiere del Mobile piene di fuffa. E basta. Non è possibile comprare una cosa italiana a prezzo decente. Si si, la qualità. Si si, la filiera. Si si, la tradizione. Ma se io non navigo nell’oro, potrei anche io per favore avere qualcosa di carino in casa?
L’accesso alla bellezza non è un diritto?

Certo, ogni volta che entro all’ikea dopo un po’ divento nervosa, con tutti quei “dlin dlon! questa settimana le nostre famose polpettine ripiene di merda a soli 20 centesimi cento! passa dal banco informazioni!”. Dopo un po’ che giro comincio a sentirmi nel fantasticomondodellikea, mi aspetto che sbuchino elfi o fatine da ogni angolo.

Certo si diventa tutti un po’ ridicoli, a furia di guardare il catalogo per capire/decidere cosa ci piace e soprattutto cosa ci possiamo permettere, parliamo una lingua particolare, l’ikeese.

Certo, anche loro tendono a fare il loro bel lavaggio del cervello, e dal loro catalogo strombazza in prima pagina un “La tua casa. Il posto più importante del mondo”. La mia casa? Addirittura! Un messaggio non troppo educativo. Della serie chi-se-ne-frega dei vicini. In culo gli asili. Chi-se-ne-frega dei teatri, le palestre, gli stadi. Chi-se-ne-frega della polis insomma, chiudetevi a doppia mandata nella vostra bella casetta e sdraiatevi sul vostro divano EKTORP.

Ma come ho premesso all’inizio, io sono una ikeista di seconda generazione, e questi messaggi, a me, mi fanno un baffo. Del resto sono solo svedesi, mica perfetti. Non sanno niente da quelle parti là, della polis, della piazza, del passeggio, del cazzeggio in giro solo perché c’è il sole, del sedersi al bar a guardarsi attorno per ore. Del resto, da loro, fa freddo. Da noi, per fortuna, no.

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