mercoledì 16 aprile 2008

Corsi e ricorsi

Te passi giorni e mesi a decidere come dare luce, come stanare le ombre da un cupo stanzino, ripostiglio, boh! e dare dignità ad ogni singolo piccolo pezzetto centimetro quadro di quello spazio, promuovendolo al ruolo di studio.

E ti decidi per un’apertura.

E parte l’ambaradan di: fai fare il calcolo per il consolidamento, lo fai depositare, lo studi con l’impresa, scopri anche come si chiama la tecnologia (intonaco armato si chiama, che già mi mette paura, in questi giorni particolari poi mi fa anche girare la testa).

E nel frattempo ogni volta che vai a casa ti guardi la parete, e pensi, ma quanto lo facciamo largo? Ottanta? Settanta? E alto? Come l’altro? Di meno? Facciamo una proporzione? Un complicato calcolo? Una proporzione aurea dei poveri che se dividi l’altezza per la larghezza ottieni un magico numero che poi gliela fai vedere te a Nostradamus?

Poi un pomeriggio chiama lui. Quello dell’impresa. E ti dice candidamente che ha cominciato a picconare. E che l’ha trovato. Un arco già c’è. Stessa larghezza. Stessa altezza.
Solo quindici centimetri più in là.

E tu rimani là. A pensare. Che vorrà dire? E’ un segno? La casa ci vuole dire qualcosa? Si stava meglio quando si stava peggio? Nulla si crea nulla si distrugge? Oppure prosaicamente, come dice mia madre, ‘avevano abbastanza soldi da rovinarla?’

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